By Claudio Paudice
Il blocco dell’Ever Given si ripercuoterà sui porti e sui prezzi, andando ad alimentare il caro noli che nel 2020 ha fatto sorridere i big dei container
Il difficile arriva ora. Ci sono voluti sette giorni di passione, la potenza di tiro di sedici rimorchiatori, due draghe per scavare via quasi trentamila metri cubi di sabbia, la luna piena, il picco della marea primaverile, lavori senza sosta anche di notte, per vedere il colosso da 220mila tonnellate dell’Ever Given staccarsi dalla costa, tornare a galla e riprendere la navigazione liberando finalmente il Canale di Suez. Tutto il mondo tira un sospiro di sollievo dopo aver temuto il peggio: un blocco prolungato, anche per settimane, della rotta commerciale tra Mar Rosso e Mediterraneo da cui transita il 12% dei traffici globali, il 30% delle portacontainer, il 10% del petrolio scambiato via mare e il 9% di gas naturale liquefatto. Le autorità egiziane, che solo ieri avevano iniziato i preparativi per scaricare una parte di 20mila contenitori, esultano per l’operazione che non esitano a definire eroica. Ma l’impresa di Suez lascia una pesante eredità sul modello di sviluppo dei commerci internazionali, facendo riaffiorare tutti i rischi legati a un gigantismo navale sempre più spinto da rendere ancora più vulnerabili le catene di approvvigionamento globali già piegate dalla pandemia.
Il traffico all’interno del Canale di Suez ritorna regolare appena conclusi i lavori di pulizia e controllo, ha comunicato l’Autorità egiziana che gestisce la via d’acqua artificiale. Nel corso dei giorni di blocco, sono diventate quasi 400 le imbarcazioni rimaste in attesa di passare, tra cui trenta petroliere, quasi novanta porta-rinfuse, ventuno ro-ro, sessanta le portacontainer. Solo l’anno scorso sono passate circa 19mila imbarcazioni di varia dimensione, una media di circa 50 navi al giorno per un valore di merce pari a nove miliardi, secondo le stime di Lloyd’s List, circa 400 milioni di dollari l’ora.
Ora gli interrogativi riguardano i tempi per smaltire l’arretrato. Secondo gli egiziani basteranno tre giorni e mezzo al massimo, secondo la più grande compagnia al mondo, la danese Maersk, ce ne potrebbero volere sei o anche di più per consentire a tutti un passaggio in sicurezza. È chiaro che, sotto il coordinamento dell’Autorità di Suez, si tenterà di forzare un po’ e accorciare i tempi, con l’obiettivo di far navigare lungo il Canale anche 80 navi al giorno, almeno.
Il dato certo è che i tempi lunghi si ripercuoteranno sugli scali di destinazione delle tante imbarcazioni rimaste all’ancora per una settimana. Tutti i porti più importanti si stanno preparando alla concentrazione di arrivi. Gli scali americani della West Coast da settimane sono intasati, con Los Angeles e Long Beach (e anche Oakland) che hanno visto raddoppiare le navi in attesa all’inizio del 2021 a causa dei forti contagi tra i portuali. Solo a febbraio, secondo i dati di Alphaliner, le imbarcazioni in rada aspettavano di scaricare qualcosa come 580mila contenitori. I tempi di attesa superano la settimana. Meno navi scaricano, meno navi ripartono e meno “vuoti”, cioè contenitori, ritornano in Cina per essere nuovamente caricati e spediti. Secondo un report di DHL ogni settimana di ritardo implica una perdita della capacità di trasporto sulla rotta transpacifica del 7,6%. È in questo ecosistema logistico già fortemente indebolito dal Covid che interviene l’incidente di Suez.
Il porto di Rotterdam, principale porta di ingresso per le merci destinate ai mercati Ue, ha già avvertito i suoi utenti che ci potrebbero essere ritardi perché il numero di banchine è limitato e lavorare la merce in arrivo contemporaneamente sovraccaricherà i terminal. Stesso discorso per i porti italiani, con il primo scalo d’Italia, Genova, in stato di pre-allerta: “Pensiamo che il ritardo provocato dal blocco del canale di Suez rischierà di concentrare volumi molto sostenuti, che normalmente sono spalmati su un intero mese, in 15 giorni. Non ci saranno perdite, ma strutture portuali e la catena logistica saranno sotto stress”, ha detto Luigi Bruzzone, della Direzione sviluppo del porto di Genova. “Avremo una concentrazione molto importante, dovremo assorbire in una settimana il traffico di due settimane di lavoro”, ha detto Giampaolo Botta, segretario generale di Spediporto-Confetra.
Il tappo di Suez è saltato, ma i colli di bottiglia restano. Le catene di fornitura sono allo stremo: nei mesi scorsi pratiche di blank sailings (cancellazioni delle toccate fino all’intero viaggio) hanno acuito la penuria di contenitori nel momento in cui la domanda è tornata a crescere alla ripresa delle attività economiche. Il risultato è stato un incremento esponenziale dei costi di nolo dei contenitori. Basti pensare che il prezzo per un box dal Far East al Nord Europa è più che duplicato, passando da duemila euro circa a quasi ottomila. I timori che il blocco di Suez faccia salire ancora di più i prezzi è perciò diffuso.
I grandi gruppi di navigazione sono però riusciti a far lievitare i loro affari durante la pandemia. Come riporta Dhl, ad esempio, la tedesca Hapag Lloyd ha annunciato un margine operativo lordo di 2,7 miliardi di euro per il 2020, un aumento del 35% rispetto al 2019, eppure complessivamente i volumi di trasporto sono diminuiti dell′1,6% rispetto al 2019 a 11,8 milioni di TEU, mentre le tariffe medie di trasporto sono aumentate del 4%. Il più grande gruppo al mondo, la Maersk, nel 2020 ha registrato un utile netto annuo vicino a tre miliardi di dollari, con un Mol che ha fatto un balzo del 50%, nonostante un calo della domanda di contenitori del 2%. I ricavi del gruppo One sono aumentati del 30% a 3,7 miliardi di dollari nel suo terzo trimestre fiscale (l’ultimo del calendario) e l’utile netto è aumentato di oltre il 20%.
Nonostante i prezzi già in aumento, i timori per ulteriori rincari sono concreti. Ancor prima del blocco di Suez, Dhl aveva messo già in conto un aumento delle tariffe a causa della scarsità di vuoti e congestione dei porti sulla rotta Europa/Nord America, e anche quelle tra Europa e Asia erano previste su livelli elevati.
Le prime conseguenze di Suez iniziano a farsi sentire anche in Italia, particolarmente interessata visto che dal canale passa il 40% del suo import-export via mare. L’Electrolux ha comunicato che, a causa del blocco delle merci, dovuto all’inagibilità di Suez, “la fornitura di alcune schede è ritardata a tempo indefinito e ci saranno ripercussioni sulla produzione”. Questo avrà un impatto sullo stabilimento di Porcia, a Pordenone: “La programmazione della produzione dello stabilimento subirà un rallentamento – dicono i sindacati – attraverso la sospensione dell’attività produttiva delle linee 1 e 2, in entrambi i turni, nelle giornate di venerdì 2 e martedì 6 aprile”.
Quanto all’Ever Given, con i suoi 18mila box da venti piedi ciascuno a bordo, resterà per un po’ all’ancora nel Grande Lago Amaro per effettuare tutte le verifiche tecniche, anche se, da una prima valutazione, non ci sono segnali di inquinamento del Canale, né danni al carico o guasti al motore. Secondo un report della più grande compagnia assicurativa al mondo Allianz, l’incidente nel Canale è costato qualcosa tra lo 0,2 e lo 0,4 per cento di crescita annuale degli scambi, cioè tra i sei e i dieci miliardi di dollari alla settimana.
Effetti che si ripercuoteranno sulle catene di fornitura globale che hanno appena scampato il rischio di andare letteralmente in crisi se il blocco del Canale egiziano non fosse stato risolto “solo” in una settimana. Il colosso più alto dell’Empire State Building ha fatto riemergere tutti i rischi connessi al gigantismo navale. L’Ever Given è una tra le navi più grandi al mondo, da 20mila contenitori: falliti i tentativi di disincaglio, sarebbe servita una gru (post-panamax) per scaricare il peso dei box, e rimetterla a galla e solo per trasportarla, montarla e collaudarla sarebbe passato un mese. Oggi le portacontainer Ulca (ultra large container carrier) possono arrivare a 24mila Teu, ma già si pensa a navi con carichi fino a 28mila. Navi così grandi hanno dei costi proibitivi di assicurazione in caso di incidenti. Il blocco dovuto all’insabbiamento dell’Ever Given “causerà una grande perdita per l’industria della riassicurazione”, lo strumento di cui si servono le compagnie di assicurazione per assicurarsi a loro volta, ha scritto sul suo sito la statunitense Fitch Ratings.
Per non parlare dei costi di adeguamento delle infrastrutture di approdo, quasi sempre a carico delle casse pubbliche. Secondo i calcoli di Assiterminal-Confetra, per un investimento di un armatore da circa 200-220 milioni di euro, pari al costo di una meganave, ci sono miliardi di euro di investimento a carico degli Stati. “Tutto questo per far diventare ricchi dieci operatori?”.